10.2.04

" Un velo di tristezza"

Generalmente, quando vado via da un posto di lavoro,
ma anche quando ho terminato il liceo,
non torno mai.
Non mi va di stare con le persone,
colleghi e fare discorsi di circostanza.
Non mi va e non mi piace.

Taglio i ponti e basta.

Anche se lì avevo trovato conoscenze simpatiche
o amicizie ad hoc.

Ieri, un ex collega, mi ha chiamata per dirmi che,
andando via a giungno 2002,
avevo dimenticato lì il mio dizionario d'inglese.

E così stamattina sono andata lì, a Via castello della Magliana,
a Parco de' Medici per tornare alla XXXXXXXXXXX Italia SpA.

ERo innervosita da quanto mi aspettava.

Il citofono non funzionava per cui disperata ho bussato con i pugni,
dopo 5 minuti che stavo fuori e tentavo di suonare.

Invece l'unica persona rimasta lì, di 10 che eravamo,
è venuta ad aprirmi.

E così abbiamo fatto due chiacchiere.

La sede si trasferisce.
La società è in via di ristrutturazione.
Dipendenti in mobilità.
Alcuni mandati via senza una lira, altri invitati, altri liquidati.

I dirigenti si muovono con il posto sicuro altrove.
I dipendenti si arrabattano.
cercano nuovo lavoro, ma non se ne trova.

Il settore delle telecomunicazioni è in crisi.
E adesso più che mai.

E così, ascoltando quello che quel mio ex collega mi diceva,
mi sono rattristata, per lui, per tutti quelli che lavoravano lì.

Per quello che li aspetta, per gli impegni inderogabili,
per i figli,
per tutto.

Triste anche la sede, in via di chiusura.
Scatole e scatoloni in giro,
polvere, abbandono o quasi.

Ad un certo punto, ho preso il dizionario e sono scappata via.

Come è possibile che le società siano costrette
a fare questo ai loro dipendenti?

Io che ho scelto di andarmene, seppur invitata,
e l'ho fatto, portando con me la mia dignità di lavoratrice.

A loro non resta nemmeno quella:
la loro dignità di lavoratori e padri di famiglia
.

Maggie

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